Nella primavera di sedici secoli fa una donna fu assassinata ad Alessandria d’Egitto, megalopoli fertile di intelletti, da fanatici cristiani al servizio del potente vescovo Cirillo. Quella donna era Ipazia. Cosa avesse fatto per attirare su di sé tanta violenza è quanto si cercherà qui di chiarire.

Ipazia apparteneva all’aristocrazia intellettuale della scuola di Plotino e Porfirio e dalla tradizione familiare aveva ereditato la successione del suo insegnamento: una cattedra pubblica in cui insegnava il pensiero di Platone, di Aristotele e di altri filosofi. Era anche una scienziata: la sapienza impartita nelle scuole platoniche includeva la scienza dei numeri e lo studio degli astri.
Oltre all’insegnamento pubblico Ipazia organizzava riunioni “private” poiché il risvolto esoterico delle accademie platoniche implicava la trasmissione di conoscenze “segrete” sul divino, accessibili ad una ristretta cerchia di iniziati. Un’unica cosa la tolleranza filosofica di Ipazia non tollerava: l’ingerenza di qualunque chiesa sul potere laico dello stato, a cui invece tendeva Cirillo. Fu probabilmente questo a motivare il suo assassinio, che fu a tutti gli effetti un assassinio politico.

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